venerdì 24 febbraio 2017

Il Dilemma dell’Unione Europea (guest post)

Il Dilemma dell’Unione Europea

Questo pezzo contiene una riflessione sulle opzioni strategiche di lungo periodo dell’UE concernenti la moneta unica.
Scritto originariamente in inglese per un pubblico estero, parte da temi e informazioni che possono risultare già parzialmente note al lettore italiano più informato.
Traduzione dell’autore: Prof. Roberto Orsi


L’Unione Europea si va appressando ad un tempo di decisioni difficili, che determineranno se essa riuscirà a sopravvivere nel prossimo futuro o se invece entrerà nella traiettoria finale della sua dissoluzione.
Negli ultimi anni una serie di crisi hanno scosso le fondamenta stesse del progetto di integrazione europea, spesso con danni che appaiono chiaramente irreversibili, in particolare la continua crisi migratoria, il Brexit, e la crisi dell’Eurozona ormai in suppurazione.
Ora un nuovo capitolo nella crisi della moneta comune sta rapidamente acquistando visibilità.
Da un lato, la Grecia si trova nuovamente alle prese con il dissesto finanziario, richiedendo un nuovo intervento internazionale e si ricomincia a parlare di Grexit.
Dall’altro, e in aggiunta a ciò, il peggioramento del profilo finanziario dell’Italia sta conducendo questa volta a inevitabili e fondamentali interrogativi circa l’intero progetto dell’euro e il suo futuro.

--------------------------------------------
N.d.R. vedi anche i miei post:

e comunque l'analisi del Prof. Orsi punta anch'essa in modo articolato&dotto ad un solo esito sempre più logico = DEFAULT DI FALLITAGLIA...
VI SIETE PROTETTI ALMENO UN MINIMO?
vedi mio post:

FallitaGlia sempre più verso il DEFAULT: io ve lo anticipo da mo' e man mano sta diventando sempre più di "dominio comune"...
-------------------------------------
Con la sconfitta di Renzi nel referendum sulla riforma costituzionale del 4 Novembre scorso e la caduta del suo governo, l’incertezza politica ha fatto ritorno tra i palazzi romani.
Tuttavia, questa volta non è la classica situazione di incertezza all’italiana.
Nel frattempo infatti una serie di elementi sono ormai diventati chiari a tutti coloro che vogliano vederli: ..................................
.

1. L’economia italiana non crescerà molto più dell’1% all’anno nel prossimo futuro anche nel migliore degli scenari.
Questo dopo un ventennio di stagnazione-recessione.
Se l’Italia ha chiuso il 2016 con una crescita dello 0,9%, in un anno caratterizzato da numerose circostanze massicciamente favorevoli (euro debole, tassi d’interesse ultra-bassi, QE da parte della BCE, prezzo del petrolio contenuto, partner commerciali in crescita), c’è da domandarsi cosa accadrà quando questo eccezionale allineamento di pianeti propizi si dissolverà?

2. Le possibilità di crescita economica per l’Italia sono ostacolate da una demografia gravemente negativa, un problema ben noto che non può essere risolto da immigrazione aggiuntiva, specialmente considerando che molti immigrati hanno cominciato a lasciare il paese per economie più dinamiche e welfare più generosi, e centinaia di migliaia di giovani italiani, spesso con alte qualificazioni e competenze, stanno lasciando il paese per sempre.
La sola demografia condanna l’Italia a una crescita del PIL attorno allo zero se non negativa, con tutte le implicazioni finanziarie del caso.

3. Una serie di crepe finanziarie sono ormai visibili: non solo la nota question della banca MPS, ma l’intero sistema bancario nel suo complesso si trova sotto pressione, con numerosi istituti in guai seri.
Unicredit, la più grande banca del paese, ha chiuso il 2016 con una perdita di €8 miliardi, e sta cercando una difficile ricapitalizzazione per un importo di €13 miliardi, cifra senza precedenti.  Inoltre, è emerso recentemente che l’INPS, il più grande fondo pensioni e uno dei maggiori in Europa, ha un deficit di oltre €12 miliardi e durante il 2016 il suo patrimonio netto è andato per la prima volta in negativo.
Direttamente o indirettamente, tutti questi deficit avranno il loro impatto sul bilancio dello stato, come candidamente ammesso dallo stesso presidente dell’INPS.

4. L’Italia ha un rapporto debito/PIL ben oltre il 130%.
Con un’economia che non può crescere in termini reali, può ridurre tale fardello solo attraverso l’inflazione.
Tuttavia, da un lato la BCE deve mantenere l’inflazione entro certi limiti nell’interesse dell’Eurozona nel suo complesso, dall’altra un’inflazione più alta spingerebbe più in alto il tasso d’interesse del debito italiano, con un fardello più pensante in termini di interessi che l’Italia non può permettersi (se non finanziariamente, certamente in termini politici di compressione della spesa per coprire gli interessi).
Dopo il 2011-2012, quando divenne evidente che i mercati stavano spingendo l’Italia verso l’insolvenza, la BCE ha organizzato una rete di protezione del debito, guadagnando tempo.
Questo avvenne in conseguenza di un accordo politico in seno all’UE, secondo il quale l’Italia riceveva aiuti finanziari (indiretti, ma massicci) in cambio di profonde riforme del suo sistema economico: dal mercato del lavoro alle pensioni, dai tagli alla spesa ai cambiamenti nella tecnica di governnance.
L’idea UE e tedesca era che l’Italia potesse essere rimessa sui binari di una sostenibilità economico-finanziaria attraverso tali riforme, che furono anche elencate in dettaglio nella famosa lettera della BCE nell’estate 2011.

5. Cinque anni e tre governi dopo (Monti, Letta, Renzi) nel quale i tecnocrati dei ministeri economici e la Banca D’Italia hanno giocato un ruolo importante, è chiaro come l’Italia sia fondamentalmente incapace di riformarsi, e pertanto non riacquisirà la summenzionata stabilità economico-finanziaria.
In tutta franchezza, il piano tedesco/europeo era come minimo iper-ottimista, se non già ai confini dell’auto-inganno.

6. Man mano che questi elementi diventano evidenti, il dibattito politico in Italia sta diventando più disilluso che mai circa l’immediato futuro del paese.
Quella che era un tempo l’idea balzana di qualche commentatore pessimista, incluso l’autore di questo pezzo, è ormai divenuta moneta corrente: l’Italia dovrà affrontare una grave shock finanziario, e l’insolvenza dello stato è praticamente inevitabile all’interno dell’eurozona come essa è attualmente formulata.
Di qui l’ascesa di un numero crescente di coloro i quali arguiscono si dovrebbe uscire senz’altro dall’eurozona, condita con una forte retorica anti-UE e anti-tedesca.
--------------------------------------------------------------------------------------
A proposito di fonti indipendenti di informazione...
ma Veramente non hai ancora letto
il Manuale Wiki-Blog 
(ed un po' Wikileaks)
= Una Guida ragionata all'informazione indipendente di economia&finanza della rete...
??????????
Ecco qui cos'è 
e come ottenerlo
http://www.ilgrandebluff.info/2016/10/il-manuale-wiki-blog-e-prontoooooo.html

---------------------------------------------------------------------------------------

All’interno di questo quadro, la domanda per la UE è se sia possibile sostenere le finanze dell’Italia e della Grecia praticamente in maniera incondizionata nel futuro.
In altre parole, se l’eurozona diventerà una vera e propria transfer union,
dove il denaro viene convogliato, direttamente o indirettamente (esistono già meccanismi di finanziamento indiretto al lavoro), da sistemi fiscali più solidi per la copertura dei deficit di Roma e Atene, deficit che sono create, tra le altre cose, anche al fine di nutrire le reti clientelistiche con le quali il sistema politico crea il suo consenso.
I partner europei potrebbero forse accettare una transfer union sulla base di considerazioni politiche, geopolitiche, e persino umanitarie.
Invero dato che l’Italia e la Grecia non torneranno probabilmente mai su una traiettoria sostenibile, l’unica alternativa a una transfer union sarebbe quella di uscire dall’Eurozona.
Questo implicherebbe un’ulteriore, formidabile colpo politico al progetto europeo, nonché un’ondata di acuta instabilità finanziaria (il debito italiano si attesta a oltre €2.200 miliardi), a sua volta generando a cascata ulteriori problemi politici e umanitari.

D’altro lato tuttavia, l’istituzione di una transfer union andrebbe contro i trattati europei (presumibilmente, sebbene questo potrebbe venire in qualche modo aggirato dall’interpretazione giurisprudenziale), le costituzioni di numerosi stati membri, particolarmente la Germania, la volontà di molti nell’élite europea, e certamente degli elettorati.
Angela Merkel ha pertanto già in passato reiterato che la posizione del governo tedesco rimane un rigetto della messa in comune dei debiti nazionali (Eurobonds).
Tuttavia, come nel caso della crisi migratoria, la posizione della Merkel potrebbe cambiare e/o, più probabilmente, risulterebbe in un misto di decisioni rimandate e mezze misure per le quali alla fine i Tedeschi potrebbero ben trovarsi in una transfer union che non hanno mai voluto, ma che diventa “ineluttabile”, confezionata dai media orwelliani come nuova sfida nazionale nel nome della solidarietà, nonché qualcosa di cui andare fieri (Wir schaffen das!).
Questo non è molto probabile, ma nemmeno impossibile, dato che il sistema politico teutonico si basa ormai apertamente sul principio del “non vi è alternativa alla Merkel”, non certamente il segno di una costituzione ben funzionante.

Ciò nondimeno, anche se la Germania accettasse infine una transfer union, è estremamente improbabile che altri stato dell’euro, per esempio la Finlandia, o i Paesi Bassi, o l’Austria, accetteranno questo assetto, decidendo molto probabilmente di uscire.
A un livello più profondo, l’Eurozona e più in generale la UE sta rapidamente diventano l’opposto di quello che si supponeva fosse ai suoi inizi, venticinque anni orsono.
Da un club di economie avanzate e stati ben retti, governati dai principii della Ordnungspolitik, integrità fiscale, e competizione di mercato, è diventata un sistema di redistribuzione che accetta il fallimento della modernizzazione in vaste aree del continente, acconsente a élite clientelistiche se non cleptocratiche nel Sud, e accetta palesemente il parassitismo economico, sino alla consunzione dei relativamente pochi centri produttivi del Nord.

La questione di una transfer union è un dilemma reale e piuttosto imminente per la UE.
Se la UE abbandona la sua idea centrale di modernizzazione, il progetto euro può tirare a campare per un’altra generazione circa, al prezzo di essere tenuta insieme quasi esclusivamente da forze negative, ovvero dalla paura di una completa fratturazione, dall’indisponibilità ad affrontarne i costi, e accettando la defezione di alcune economie minori nel Nord.
Altrimenti, un no alla transfer union significherà la rottura dell’Eurozona: inizialmente per l’Italia e la Grecia, con un futuro estremamente incerto per entrambi i paesi, e quasi certamente la successiva disintegrazione del resto (anche la traiettoria della Francia è, nel lungo periodo, insostenibile).

In entrambi i casi, l’integrità dell’Eurozona e il suo valore simbolico dovrebbe venire sacrificata, con gravi implicazioni politiche difficilmente gestibili.
Il recente accenno a un’Europa a più velocità da parte della Merkel, che evoca l’idea di un euro diviso in unioni monetarie più limitate per aree economiche più omogenee, è nondimeno costellata da formidabili rischi finanziari e politici.
Non è inconsueto nella storia che tentativi di riforma dell’ultima ora in una struttura fragile possano mettere in moto eventi incontrollabili, con accadde con le riforme di Gorbaciov nell’URSS.

L’Unione Europea si poggiava su due pilastri:
l’accordo di Schengen e l’euro.
Schengen è in rovina, l’euro ha mancato gli obiettivi prefissati.
Con il crollo di entrambi i pilastri, e il compito quasi impossibile di superare il Brexit, la scelta è ora se la UE riuscirà a sopravvivere come istituzione per mera inerzia burocratica, oppure sarà smantellata, in modo ordinato oppure meno.

Roberto Orsi
LSE - London School of Economics and Political Science
Lecturer
特任講師
Graduate School of Public Policy
東京大学公共政策大学院
Policy Alternatives Research Institute – The University of Tokyo
東京大学政策ビジョン研究センター

Tokyo, 21 Febbraio 2017

***