lunedì 22 ottobre 2012

E' possibile una virtuosa "ibridazione" tra statalismo e neo-liberismo?

Io penso che anche gli statalisti duri&puri dovrebbero riflettere sull'analisi che riporto al fondo di questo post...
sia quelli che sono perfettamente consapevoli ed intanto ci mangiano e ci campano sopra (ma tra un po' rischiano di far morire l'organismo dal quale traggono nutrimento...)
sia quelli che coltivano con purezza l'idea di Stato,
difendendoLO eroicamente anche dai vari Fiorito (si dimenticano però che non sono solo i generali ed i colonnelli a non funzionare...ma è anche tutta la categoria dei sotto ufficiali e spesso la truppa stessa...) e difendendoLO dagli assalti del "cattivo" neo-liberismo (che però in Italia non s'è mai visto...se non nella forma "in combutta con lo Stato"...ovvero il peggio del peggio di entrambe le realtà...)

In Italia purtroppo l'applicazione dell'idea di STATO incontra maggiori difficoltà che altrove........

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..........non certo per primitive teorie lomborosiane ma per solidissime cause socio-culturali dimostrabili storicamente e scientificamente...Perchè lo Stato in Tunisia è concepito ed attualizzato diversamento dallo Stato in Danimarca.
Laddove per tradizione socio-culturale prevalgono l'interesse personale, le relazioni familiari ed i rapporti clientelari...lo Stato risulta come minimo assai poco efficiente, se non addirittura una pesante palla al piede per la parte produttiva della società e dell'economia.
Nei suddetti contesti socio-storico-culturali risulta assai difficile cedere qualcosa (qualsiasi cosa...) a favore di un'Entità costituita da tutta la comunità nazionale (lo Stato) che viene percepita astratta e lontana...se non addirittura vessatoria e ladrona (anche perchè spesso e volentieri lo è veramente...e pure da secoli...).
E dunque far funzionare in modo efficiente lo STATO diventa impresa assai ardua.

Con questo non voglio certo affermare che il concetto di STATO vada mandato al macero né che sia inapplicabile in Italia....
ma solo sollecitare una sana riflessione, soprattutto nelle menti più condizionate dal concetto mitologico di Stato invece che da una visione pragmatica dello stesso.
In Italia una bella iniezione di neo-liberismo (inteso come nell'articolo sotto riportato) farebbe bene anche al concetto stesso di Stato e lo rivitalizzerebbe...
Vi sembra paradossale?
A me no...
Ma io non sono preda dell'integralismo religioso, né in un senso nè nell'altro...

“La crisi dell’Italia? E’ fatta in casa”

22/10/2012 - Clientelismo, corruzione, protezione dalla concorrenza e troppa burocrazia sono i principali mali dell'economia del nostro paese per il più importante quotidiano della Svizzera La crisi dell’Italia? L’euro c’entra poco con le difficoltà economiche del nostro paese.
E’ l’analisi di Tages Anzeiger, il più diffuso quotidiano elvetico di qualità, che rimarca come molti dei problemi italiani siano precedenti alla scoppio della grande recessione.

CODICE DELLA PASSIONE - Tages Anzeiger dedica un lungo approfondimento ai tanti problemi dell’economia e della società italiana, che hanno aggravato la crisi che ha colpito in particolar modo anche gli altri paesi mediterranei.
L’articolo, scritto dal corrispondente italiano di Tages Anzeiger, quotidiano zurighese di simpatie progressiste, rimarca quanto sia problematico comprare oggetti in Italia.
“Quando sono stato a Budapest e ho comprato un disco cinque persone hanno registrato il mio acquisto. Lì ho capito il fallimento del socialismo reale. In Italia senza il codice fiscale non si può affittare una casa, nè aprire un conto in banca o comprare un cellulare. Quando l’ho scoperto, ho capito che l’Italia stava organizzando da sola la sua crisi”. 
Per entrare in possesso di un codice fiscale ci vuole almeno mezza giornata, e per questa operazione sono impiegate persone il cui lavoro appare come insensato, rimarca Tages Anzeiger. “Ho perso sei ore in attesa, quando per darmi il codice fiscale allo sportello ci hanno messo in realtà cinque minuti”.

EURO NON C’ENTRA - La crisi dei debiti sovrani c’entra poco con le attuali difficoltà italiane.
La tesi classica degli economisti progressisti, sposata da Tages Anzeiger, è che la recessione ha fatto esplodere le divergenze economiche tra i paesi europei accumulatesi negli anni precedenti.
Nella periferia l’inflazione è cresciuta assai più che in nell’area core, Germania in primis, a causa dei massicci afflussi di capitale.
Questa crescita dei prezzi ha reso sempre più caro il costo del lavoro, e quando la crisi è arrivata, le merci dei paesi periferici sono diventati di colpo troppo care, aggravando così le difficoltà delle loro economie.
Siccome l’euro non si può svalutare come le monete nazionali, il processo di deflazione interna perseguito per recuperare competitività ha reso ancora più doloroso l’aggiustamento dei prezzi alla nuova situazione.
Questa spiegazione per Tages Anzeiger ha senso per Spagna o Grecia, ma l’Italia invece ha creato i suoi problemi in altro modo. 
Il nostro paese, rimarca il quotidiano elvetico, cresce meno dei suoi partner europei da ormai vari decenni, e soffre per le difficoltà del suo mercato interno. 
L’export italiano, a differenza di quello degli altri paesi mediterranei, in realtà non dimostra di soffrire in particolar modo la concorrenza della Germania.

PROTEZIONE E CLIENTELISMO - Tages Anzeiger evidenzia che il mercato del lavoro italiano è diventato troppo rigido dopo l’introduzione dello Statuto dei Lavoratori, modellato sull’articolo 1 della Costituzione. “I sindacati e i tribunali del lavoro non si preoccupano di solito che l’occupazione sia presente, ma difendono solo chi è già impiegato”.
Questo ha portato alla degenerazione di giovani assunti solo con stage o contratti temporanei pagati molto meno rispetto agli altri assunti.
Anche il nanismo delle imprese, un problema atavico del nostro paese, dipende anche dalla regolazione del mercato del lavoro, che non crea occupazione.
“Il mercato del lavoro italiano si adatta bene ad una società che si preoccupa di tutelare sopratutto chi ha già.
Ad una casta politica di cleptocrati, ad un’economia clientelare per la quale valgono molto più le relazioni che le performance aziendali. 
Oppure a professori universitari, che regalano i loro posti ai membri della loro famiglia.

NIENTE CONCORRENZA, TANTO CRIMINE - Per Tages Anzeifer gli italiani evitano la concorrenza “come il diavolo l’acqua santa”.
Secondo le statistiche dell’Eurostat l’80% degli italiani cerca il proprio lavoro tramite i propri contatti e non con l’invio di Cv. 
Ecco perché chi non ha questa vitamina B fugge all’estero. 
La mancata concorrenza si estende in ogni settore del mercato interno, incrostato da pratiche clientelari ed eccessive regole che penalizzano i consumatori.
Non solo il mercato del lavoro è poco flessibile, ma anche dottori, ingegneri, avvocati ed altri liberi professionisti sono altrettanto immuni dalla concorrenza.
Lo stesso Berlusconi creò il proprio impero televisivo impedendo l’arrivo di concorrenti esteri.
La forma più alta di clientelismo è però la criminalità organizzata, che in Italia è sempre più diffusa.
Ma anche dove non arrivano le mafie, il modello clan domina l’economia italiana, come rimarca a Tages Anzeiger Sergio Rizzo, giornalista del Corriere della Sera autore de “La Cricca”.
La burocrazia di stampo babilonese fa il resto, rendendo assai più difficile la vita degli italiani.

QUALE CRISI - Il quotidiano elvetico rimarca come ” sarebbe meglio se l’Italia trasferisse direttamente il denaro alle persone invece che creare lavoro inutile all’interno della sua amministrazione, che danneggia sia gli operatori economici che gli altri cittadini”.
Una considerazione che vale per ogni parte d’Italia, ma sopratutto per il Sud.
In alcune regioni come la Sicilia lo stato è spesso il principale datore di lavoro, e l’alta disoccupazione che sfiora il 50% non è in realtà una novità regalata dalla crisi, ma precedente all’attuale recessione.
 La feroce opposizione alle timide riforme tentate dal governo di Mario Monti però non depone bene per l’Italia secondo Tages Anzeiger.
“Il presidente del consiglio paga un elevato prezzo per aver introdotto cambiamenti nel mercato del lavoro o nel sistema previdenziale evitati dalla classe politica negli ultimi 10 o 15 anni.
La crisi generale che ha colpito l’Occidente rende queste riforme ancora più dure.
Ma almeno ha reso evidenti le debolezze create in casa, che minacciano di strangolare l’Italia nel prossimo futuro”.

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