mercoledì 20 marzo 2019

O Federalismo O Morte!

Uno dei condizionamenti più profondi inculcati negli italiani
è che l'Unità d'Italia è intoccabile perché è un bene assoluto.
Questo principio viene trasmesso con un lavaggio del cervello fin da piccoli attraverso le scuole pubbliche, le istituzioni, la maggioranza assoluta dei partiti politici, i mass-media etc etc
Peccato che questa Unità d'Italia
si realizzi in uno Stato Centralista Unitario Collettivista Illiberale
che ha fallito sia per il Nord che per il Sud,
che non si è mai integrato/realizzato se non superficialmente,
che rimane sostanzialmente basato sul vecchio schema di Stato autoritario centralista Savoia e poi Fascista ormai del tutto inefficiente rispetto a com'è cambiato il Mondo,
che ha portato il cancro dell'assistenzialismo a tutti i livelli della società,
che ha visto dei tentativi di pseudo-riforme federaliste che sono state la classica toppa peggio del buco.

E pensare che un vero federalismo su basi liberali che si realizzi in ampie autonomie fiscali è stata una forma pensata fin da subito e da tanti per il nascente Stato Italiano,
poi accantonata perché l'Italia è nata come il progressivo accrescimento del Regno dei Savoia e ne paghiamo ancora oggi il prezzo.
E pensare che il federalismo è una forma di configurazione degli Stati molto diffusa che - se ben implementata - funziona assai bene nella maggioranza dei casi.
Oggi però NESSUNO ha più in agenda un vero federalismo,
nemmeno più la "Lega" di Salvini che è diventata il classico partito ............................
.
nazionalista unitario di destra, però continua ad usurpare il nome di "Lega" perché Salvini mira solo al massimo dei consensi e dunque fa un minestrone di tutto quello che riesce a procuraglieli.
Questo perché come dicevo l'ASSISTENZIALISMO CLIENTELARE gestito centralisticamente dalla classe politica in cambio di consenso
ormai ha raggiunto livelli mai visti prima con 7 italiani su 10 che si fanno mantenere da 3 su 10, dunque pochissimi hanno interesse per una profonda ri-configurazione della struttura dello Stato in una direzione di maggiore efficienza, elasticità e decentralizzazione che si sommino ad una sana competizione tra le varie realtà del Paese.
Al contrario moltissimi invece hanno interesse a mantenere lo status quo di una Stato unitario centralista assistenzialista.


Del resto la Lega stava all'8% quando faceva la Lega .... mentre oggi con Salvini siamo al 34% (secondo i sondaggi) = ecco perché oggi nessuno più parla di vero Federalismo con la suddivisione dell'Italia in macro-aree autonome fiscalmente.

 

Del resto M5S ha vinto le ultime elezioni in buona parte anche grazie al più colossale voto di scambio clientelare mai visto prima ovvero quello del Reddito di Cittadinanza ottenendo una colossale prevalenza elettorale al Sud.
vedi mio post: Reddito di Cittadinanza: il più "sfacciato" voto di scambio della storia repubblicana
Purtroppo senza questa riconfigurazione per via veramente federalista l'Italia è condannata sempre più ad essere FallitaGlia
perché come non è sostenibile a lungo che 7 su 10 siano mantenuti da 3 su 10,  
allo stesso modo non è sostenibile che circa 5-6 regioni mantengano tutte le altre
soprattutto in questo Nuovo Mondo globalizzato, iper-competitivo ed in continua evoluzione (in primis tecnologica) con un continuo cambio di paradigmi.
vedi per esempio: Una ripresa a "ritmi cinesi": il triangolo della crescita tra Emilia, Lombardia e Veneto

Lo spiegavo anche nel mio post: Il SUD costa al Nord TRE-QUATTRO finanziarie all'anno...ma nessuno parla più di vero FEDERALISMO
Sostanzialmente Il SUD costa al Nordpiù o meno TRE-QUATTRO finanziarie belle toste all'anno ed anche MOLTO MOLTO DI PIÙ se consideriamo che la VERA EVASIONE FISCALE è concentrata al SUD
vedi il mio post Evasione Fiscale: al Nord è SOTTO alla media Europea mentre al Sud è quasi al DOPPIO
ma (guarda a caso...) nessuno parla più di vero FEDERALISMO con autonomie fiscali VERE che sarebbero di vantaggio sia per il Nord
che per il Sud, pieno di risorse uniche al mondo che andrebbero semplicemente valorizzate se solo smettessero di arrivare soldi&assistenzialismo a pioggia dal Nord che favoriscono soprattutto la parte meno sana&competitiva del sud che tira solo a campare ed a farsi una rendita a sbafo (e non cito nemmeno le varie mafie...)
La prova del nove di tutto questo ce l'avete nel fatto che un calabrese (per fare un esempio) che se ne va da Calafrica dove non ha possibilità alcuna di realizzarsi e che va al Nord Italia od all'estero è IL TOP DEL TOP e spesso si realizza ALLA GRANDE, #capisciamme ;-)
Vedi anche i miei post:
Ma tanto come dicevo è inutile, perché la maggioranza italopiteca non ha alcun interesse a riconfigurare lo Stato Italiano sulla base di una DECENTRALIZZAZIONE maggiormente efficiente e sostenibile
ma solo di ciucciare almeno fino al collasso ed anche chi non ciuccia ha subito il profondo lavaggio del cervello talebano-UNITARIO.
Dunque #BUONAPROSECUZIONEDIDECLINO almeno fino al Default...
Vi lascio con l'ottima analisi del Prof. Michele Boldrin (economista)

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Autonomia delle regioni del Nord, così è una schifezza (ma la questione esiste, e va affrontata)
Per l’ennesima volta la Lega sceglie di non risolvere il problema che ha sollevato dalla sua fondazione.
Ma peggio ancora fanno Pd e Cinque Stelle che lo negano.
L’Italia deve levare a Roma il suo potere clientelare, altrimenti muore

Per il governo del “cambiamento” è il turno dell’autonomia regionale, quell’oggetto politico che un tempo si chiamava federalismo e, prima ancora, regionalismo.
Una volta ancora – l’ennesima da quando nel disegno costituzionale vennero introdotte le regioni ed ad esse vennero concessi livelli differenziati di autonomia – il tutto si risolverà in una commedia delle parti, condita da stantie accuse reciproche ed il solito, dannoso, effetto finale.
Maggior spesa pubblica, nessun miglioramento dell’efficienza dei servizi e, dopo alcuni anni, maggior carico fiscale complessivo.

Eppure il problema esiste, costituisce un blocco immane allo sviluppo economico del paese ed è fonte di continue tensioni e squilibri politici.
L’Italia non è un paese socialmente, culturalmente ed economicamente omogeneo ma l’esatto opposto.
L’Italia è ancora una collezione di (ex) principati, signorie, repubbliche, regni e ducati tenute insieme da una burocrazia centrale che fra di esse redistribuisce risorse e potere, trattenendone per se la parte leonina.

Nel secolo e mezzo da quando queste aree sono state poste sotto un unico potere politico centrale le diseguaglianze relative non sono punto cambiate, anzi.
Lungo molte dimensioni le diseguaglianze sono oggi uguali o maggiori di quelle della fine del XIX secolo.
Dopo un secolo e mezzo di accentramento del potere a Roma il processo di convergenza reale non è nemmeno partito.
Se questo non è un totale fallimento allora nulla lo è.

Questo perdurante stato delle cose implica che, da qualunque lato si affronti la questione, un sistema di governo e di finanziamento e fornitura dei servizi pubblici locali che si adatti a tale eterogeneità e la trasformi in uno stimolo alla crescita complessiva è diventato una necessità fondamentale.
Implica anche che un processo – certamente lento ma altrettanto certamente necessario – di ridefinizione delle unità regionali, capace di superare i tradizionali confini (retaggio di episodi storici oggi del tutto inconsequenziali) si sarebbe dovuto avviare sin dalla riforma regionale degli anni ’70; ma questo non è avvenuto né vi è traccia di esso nel dibattito politico.
Implica, infine, che una verifica dei poteri ed una loro redistribuzione dal centro alle periferie non deve avvenire a pezzi e bocconi, seguendo l’opportunismo politico della maggioranza del momento, ma deve essere l’oggetto di un dibattito nazionale che miri apertamente ad una profonda e condivisa riforma costituzionale.

Per una ragione o per l’altra, da almeno mezzo secolo gli abitanti di una manciata di regioni finanziano la spesa pubblica di tutte le altre.
L’attività economica che genera i 3/4 del valore aggiunto privato è concentrata in poche aree del paese, quasi tutte in un “tubo” del raggio di 150-200 chilometri attorno al fiume Po.
Il potere politico, giudiziario ed amministrativo è concentrato a Roma e si dedica alla redistribuzione delle risorse da queste regioni a tutte le altre.

Ricatta le affluenti, la cui crescita economica può strozzare, come spesso ha fatto, con imposte, regolamenti ed altri provvedimenti amministrativi.
Attraverso un esplicito ed antico “do ut des” elettorale, acquisisce voti e consenso nelle regioni che di tali trasferimenti si beneficiano.

Questa realtà dei fatti è stata bellamente ignorata – negata, infatti, a mezzo di una ritrita retorica egalitaria e piagnona – dalle classi dirigenti della prima e della seconda repubblica, causando al paese enormi danni economici, sociali e financo morali.
L’unica eccezione a questa generalizzata e collettiva “ipocrisia romana” è stata la Lega “prima maniera”, la cui posizione e le cui azioni esamineremo in un momento. P
reme sottolineare che questa realtà viene, tutt’oggi ed incredibilmente, negata da tutta la sinistra e da praticamente l’intero M5S.
Una posizione tanto suicida quanto esplicitamente clientelare, che la consunta retorica solidaristica non riesce oramai più a coprire.

In questo quadro si è inserita, sin dagli anni ’90, la Lega prima sotto la direzione di Bossi ed ora di Salvini.
La quale Lega, come dimostrano quasi 30 anni di presenza sia nel governo centrale che in quello delle maggiori regioni del Nord Italia, non ha o ben l’intenzione o ben la capacità (o entrambe) di fare quel che sarebbe necessario fare per rimuovere l’ostacolo.
Non lo seppe e non lo volle fare nel 1994/95 quando controllava la maggioranza parlamentare su cui si reggeva il primo governo Berlusconi.
Non lo tentò neanche all’inizio degli anni 2000 per accontentarsi poi delle ridicole e controproducenti riforme del Titolo V.
E non lo sta neanche menzionando ora, pur essendo di fatto il partner politicamente più forte della coalizione di governo.

Tutto questo non è avvenuto per caso durante questi 30 anni, ma per una precisa ragione: alla Lega non interessava e non interessa risolvere questa contraddizione ma, invece, perpetuarla per ricavarne facile consenso da spendere, a Roma, con ben altri fini.
Alla Lega non interessa ridurre lo spreco delle risorse che vanno dal Nord al Sud: fino a quando la mungitura continua il voto di protesta del Nord è garantito.
Alla Lega non interessa introdurre meccanismi di autogoverno e responsabilità fiscale che inneschino un processo di crescita organico nelle regioni del Sud: fino a quando esse rimangono arretrate il potere centrale, al cui controllo la Lega partecipa, si rafforza e raccoglie il consenso di coloro che dai trasferimenti dipendono.
Alla Lega interessa solo che la contraddizione si mantenga perché da essa ricava enormi rendite elettorali approfittando della cecità altrui.
Ecco quindi che oggi gioca, sfacciatamente, la carta della “autonomia regionale” ben cosciente sia della sua irrealizzabilità pratica che della sua potenziale dannosità economica: la composizione del conflitto avverrà con un aumento della spesa statale e del debito pubblico.
La Lega fa questa scelta perché, oggi come 25 anni fa, la sua dirigenza è cinica abbastanza da saper fingere di voler risolvere un problema reale agendo invece per mantenerlo.

Questo assurdo e dannoso gioco è possibile perché il resto dell’arco politico continua a negare i fatti coadiuvato, in questo, dalla burocrazia romana e dal sistema mediatico nazionale.
Che questa pluridecennale operazione di malgoverno abbia loro alienato le simpatie dei produttori del centro-nord sembra, ciecamente, non interessare le forze politiche del centro e della sinistra.
Se in un giorno non troppo lontano Matteo Salvini – a colpi di selfie ed incitamenti all’odio razziale – si ritroverà il paese in mano, PD&Co non avranno che la propria inettitudine da ringraziare. Quos vult Iupiter perdere, dementat prius.
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